giovedì 1 settembre 2016

Gabriel dei Fulmini

Cartografia
















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notte di poesia, non sei la notte dei poeti
non è poeta quel viandante culo di mastice, tira
sull’acceleratore -
il primato della scimmia sulla polvere -
non è poeta il brumista che tentenna il cuore nel gioco di luci,
chiama uno sterile incontro, va il passare degli ultimi carri barocchi
carichi di corrente e di idiozia
no,
non è poeta neppure l’ultimo poeta rimasto della terra
lo conosciamo tutti, e almeno una volta lo abbiamo veduto,
ne abbiamo sentito parlare nei conviti marginali delle poche streghe disposte
ad insegnarci qualche trucco per campare.
*
lo vedo da dietro alle mie lenti spesse
di cieco grecale, lì fra i suoi limoni, le carte profumate d’incenso
senza destinazioni, la china delle maree distesa fra i lampi
e le zagare di un  tempo furtivo, vecchio più che antico,
un tempo da rigattiere,
un tempo a prezzo poco vantaggioso, vedi le crepe,
le incrinature del mantice...
e se ne sta lì, l’ultimo poeta verde,
lo vedo aggiustare la lampada sul cuore: guarda - dice a uno dei fantasmi
capitati a tiro - guarda com’è piccolo e scabro e mendico il mio cuore farfallino.
lo vuoi in cambio di… fa’ tu un’offerta, ma non accetto vergogna…
in cambio,
no, non voglio vergogna...

*
la mia città di fili sottili, la mia città
di coltelli tenerissimi,
la mia città di taverne di cuori solitari;
vino argento: fiore del suono - l’abuso dei campanili… 
e qualcuno dirà
che era paura di perdere l’indice sul rigo della meta. 
questa è la mia cittá perduta in un refolo di charago impertinente,
fredda il sudore dell’alba alle mie dita -
meglio avrei voluto quella sera vibrarti il mio violino
parolaio,
da un cespo di rose, col mio naso di cera sotto la maschera buona, dirti che l’amore
non ha a che fare con le lune dei poeti, ma forse sì il resto: quel bivacco
di sguardi tenutari
quella pelle muta contro lo strofinio dei cieli semenzali,
quel bianco che fece ombra alla notte, un velo sulle mie parole di ciuco: corona 
per dormici e mai toccare quella del tuo
respiro, quel filo di voce che saliva: una galassia,
un chicco di melagrana, anzi, una canzone d’amore. 
un canto d`amore popolare
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