I
Eppure c’era spazio per
tutti, fratelli, sorelle,
una papera ilare finanche - talora un sorcio di cambusa
sotto l’ampia sottana - monna Giovannina, mi canti?
E non dico a caso
Perché tutto il tempo
Fu naviglio patito
Ora credo che una piazza dovrebbe portale il suo nome
E credo bene -
Che te ne fai di un’altra
piazza Roma Cavour -
Vico Giovanna – non suona
forse
Più… più che ufficiale? E magari tra un cespuglio e un campo di sterpi
Intitolare via C. Tella, caro
poeta, a quella via di
Mercati e rituali camminanti in spalla
Una giunone di pochi stracci buoni
maggiormente amico.
*
E in una casetta Aristide Zio – dicono pittore –
Ma una parentela
Può valere quanto un blasone
E richiede la maiuscola.
Strizza l’occhio alle ragazze dalle guance
fiorentine come un cardaccio
di preghiera
II
Qui ogni cosa è spezzata, uguale a una zolla - spaccata - E quando una cosa si spezza ha
stato d'animo e solo in tal caso d’essere detta poesia. Scrivila sui muri, chi vuoi ti rimproveri – il palazzo lo abitano morti
sepolti con le loro ossa saracene Lucide imbambolate nelle teche Delle anamnesi
di
queste piccole pietre colà
di questi cantici________
ubbriachi?
un poeta economo, qualcuno più avveduto
avrebbe risparmiato:
oblio memoria -
ma non ha voti l’anima
mia, però
E qui dovrebbe finire la visita guidata del posto, passando prima dal
forno
O magari dalla sacra cattedra di Reggina - la pazzia -
Il suo giro giro tondo
Qui nel mio cuore che non è mio
Di poeta – vi ho sistemato una seggiola.
E una
brocca d’acqua
vacante. Ma tu cos’hai da ridere
ridere - tu?
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