domenica 17 luglio 2016

trentadue volte

Vaishnava Bhakta's





















o mio tacchino, 
cresta dorata, sfinito sulla
polpa
o mio tacchino, cattivo come il tempo
il sole s’infranse il verso doloroso
l’infame curvatura della mia morte aureola contro la corona_ ebbi un regno calamita chiusa 
una rovina di tini._
dentro la lingua magmatica
il balletto, l’intrico disfatto che molto non svela
i miei giorni di terra scorrono tombe leggere alle stelle
nel folle un silenzio, sorriso chiuso
una ruota macina 

*
marciando fiorendo tracimando
superare l’incrinatura in voli, non ade la vita…
senza neanche fermarsi all’amore spasmo contro spasmo
ora è inutile dire il passo sulla
bella stagione.
*
ma ieri o mia ecchimosi 
il bozzetto _ colmi di rumore_
non avverrà
per quanto sia l’abisso idea di fortune che erutti_
a caritare la tua mano turchina
la mia.
*
ma ieri o mia agata
agilissima
tu sei lo specchio al centro del maggese
che chiedi calore violini un sepolcreto
facile sotto le tue palpebre
la febbre che racimola un motivo di orologi
o tenue arabesco di brina... in sordina templi eterni sulla raffica d’alba
il tuo spettro d’origami il tuo ventre un macinatoio
impregnato  d’oro china, bionda lebbra inginocchiata che
geli le are.

*
prigioni o mio famigliare
disprezzo rigagnoli
fischianti alle tue dighe cave sul fertile pentagramma
o mio, per qualcosa da superare
in schiavitù nel gancio _ sorgenti secoli disabitati - 
nudi all'imo di _.
lungo la strada per il vecchio mulino i cani
stanno abbaiando, tu ricuci  
la mia maglia di ferro, lentamente,
da cent'anni che non sfioro il tuo argine di raso.

*   
minerva infelice __il delta del niente ch'è in me.






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