I
Cerchi nell’acqua, brani liquefatti
del mio spazio in te valva
che riapro all’arsura dei porti.
e spoglio per la porpora contro la mia
merce nuda di futura,
cosa che sta per essere creata
– cerchiamo tutti qualcosa che è nostro.
Familiare come pochi sanno
l’avvallamento di un ombelico – terra per le
isole
di cui adorna i propri sandali
quello che si sposta a piedi – il fermo che
sibilla parole per la cenere e il millantatore, l’ignobile
il giusto chiusi tutti nello stesso lineamento,
nello stesso tessuto
e fuori il moto
e il santo, il mercenario il dio primo ed il
secondo, il Minotauro d’oro
che stanno in cima, dove il corvo e la nuvola
hanno la stessa tana
dentro al baccello il fortunato al guscio al
tabernacolo,
lo spassa-piazze e fuori la luce
e fuori i trucchi.
E che non si disperda l’olio nel piatto
di porcellana bianco, per le spalle di Sabella,
morta bambina,
con cento fermagli nei capelli piumi
anni che bussano
alla porta della cattedrale
le sue mani ossute piene di invocazioni
al dio delle cose basse.
E nelle povere collezioni di sassi cerchiamo noi,
nelle mani tese dei tiratori di fionda che nessuno
afferra, e il getto d’acqua lanciato dal
tergi-vetro – per il tempo della formica e dell’acino.
L’errore che fa nobile l’angolo battente, per la tua pubertà
vecchia di 30 anni che hai, anima mia.
Anima alla moda.
II
Io sono solo. Sono chi riffa
assolto dai veli delle digitali mosse ai tuoi fianchi
tele-genetici __ Chiedo un giorno che mi possa
voltare con i limoni di Montale portati a
spalla in un sacco di rafia grezzo
sulla mia gobba e la camicia bianca di cotone
nero_ purché sia bianca_
uguale a un cero che rimandi
la luce nello specchio
al mondo di parziale infinità collettiva
e l’aria verde di bottiglia – muovere i piedi
come lo zoppo, io,
pronunciare la mia follia, dire che sono
innamorato
proprio come
Hikmet con la blusa in cui ho visto incriminarsi
il monte, la cava,
il pungolo unico, i tuoi giardini in sospeso
ogni cosa che umana circola,
il ruscello pieno di cocci
che vedo, di cui non ho scia,le prime rime
benamate
a peso di ginestra nei miei fazzoletti per il
vento,
le mie banderuole, e quando
ho detto in piazza di seppellirmi in una macchina
per scrivere, una qualsiasi
E la terra e la capra e la carpa e il fiore in
qualche modo
finiti in un asterisco nei saggi
sulla poesia, per eccezione. Per amore. Per una
dispersione dei dispacci, per essere forza, un fuoco di
brinata nel solitario aperto sotto la lente al
centro del petto
& e i
colli immersi in un goccio di aceto
il toro, il visitatore, il violino impazzito e
qualche parola buttata sulla carta
calpestata, che è la carta dei poeti, la
seduzione
senza fine, amore, il tuo deposito
minerale.
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