venerdì 1 febbraio 2013

Verde Mal'occhio






































































I

Cerchi nell’acqua, brani liquefatti
del mio spazio in te valva

che riapro all’arsura dei porti.

e spoglio per la porpora contro la mia 
merce nuda di futura,

cosa che sta per essere creata
– cerchiamo tutti qualcosa che è nostro. Familiare come pochi sanno
l’avvallamento di un ombelico – terra per le isole
di cui adorna i propri sandali
quello che si sposta a piedi – il fermo che sibilla parole per la cenere e il millantatore, l’ignobile
il giusto chiusi tutti nello stesso lineamento, nello stesso tessuto
  e fuori il moto

e il santo, il mercenario il dio primo ed il
secondo, il Minotauro d’oro

che stanno in cima, dove il corvo e la nuvola hanno la stessa tana
dentro al baccello il fortunato al guscio al tabernacolo,
lo spassa-piazze e fuori la luce
e fuori i trucchi.

E che non si disperda l’olio nel piatto
di porcellana bianco, per le spalle di Sabella, morta bambina,
con cento fermagli nei capelli piumi
anni che bussano

alla porta della cattedrale

le sue mani ossute piene di invocazioni
al dio delle cose basse.

E nelle povere collezioni di sassi cerchiamo noi, nelle mani tese dei tiratori di fionda che nessuno
afferra, e il getto d’acqua lanciato dal tergi-vetro – per il tempo della formica e dell’acino.
L’errore che fa nobile l’angolo battente, per la tua pubertà
vecchia di 30 anni che hai, anima mia.
Anima alla moda.


II


Io sono solo. Sono chi riffa

assolto dai veli  delle digitali mosse ai tuoi fianchi tele-genetici __ Chiedo un giorno che mi possa
voltare con i limoni di Montale portati a spalla  in un sacco di rafia grezzo
sulla mia gobba e la camicia bianca di cotone

nero_ purché sia bianca_
uguale a un cero che rimandi
la luce nello specchio

al mondo di parziale infinità collettiva
e l’aria verde di bottiglia – muovere i piedi come lo zoppo, io,
pronunciare la mia follia, dire che sono innamorato 

proprio come
                                                                                                                                           
Hikmet con la blusa in cui ho visto incriminarsi il monte, la cava,
il pungolo unico, i tuoi giardini in sospeso
ogni cosa che umana circola,

il ruscello pieno di cocci 

che vedo, di cui non ho scia,le prime rime benamate
a peso di ginestra nei miei fazzoletti per il vento,
le mie banderuole, e quando

ho detto in piazza di seppellirmi in una macchina per scrivere, una qualsiasi
E la terra e la capra e la carpa e il fiore in qualche modo
finiti in un asterisco nei saggi

sulla poesia, per eccezione. Per amore. Per una dispersione dei dispacci, per essere forza, un fuoco di
brinata nel solitario aperto sotto la lente al centro del petto
 & e i colli immersi  in un goccio di aceto

il toro, il visitatore, il violino impazzito e qualche parola buttata sulla carta
calpestata, che è la carta dei poeti, la seduzione
senza fine, amore, il tuo deposito
  minerale.






























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