domenica 14 febbraio 2016

la dodicesima stanza, ad Ezio Bosso

Foto di Francesca Fratta

















magari è così,
leternità è fatta di salotti, cucine,
tinelli. stanze fisse, ben arredate,
con una buona luce, pavimenti non pregiati
ma decenti, facili da pulire.
nella prima stanza muori una volta;
_dieci minuti per mettere il futuro sottaceto_
o forse di biglie sono
gli istanti, collosi come le lingue dei satiri,
in un sacchetto di rafia sottile,
ma sono quasi certo di sbagliarmi.
meglio che siano delle stanze, ben illuminate, come ho detto,
con tinte pastello alle pareti,
in una cè il caminetto, in unaltra tuo figlio e tuo marito stanno giocando
agli indiani. meglio, sì_ per un logos
più pop la cinciallegra è tutta la musica di cui hai bisogno.

sviolinano gli scafi su un tappeto erboso, la casa ha un ampio giardino;
il silenzio della zolla è rotto,

ingoia iridi di parole, stridulo si sparge laccento delle sterlizie;
_uteri senza uscita_  un genoma nega il
suo castello
di default

nella seconda stanza muori due volte,
nella terza muori tre volte:
ogni gioco ti permette di barare.
cosa mi daresti in cambio dei tuoi dadi, vecchio baro?
saresti disposto a firmare al mio posto? hai inciso il tuo nome sulla pietra, facendo fare a
a un passante la parte del notaio, mi hai buggerato:<<vedrai divenire una fata morgana
il giorno delle tue isole_ io ti condanno,
hanno perso già i fiori i cieliegi del viale>>
e i miei occhi divennero un pianoforte.
nella quarta stanza muori quattro volte.
nel cielo di lanetta    scorgere leiaculazione della bellezza
il campo magnetico della risacca,
una nuvola poggiata sul roseo isolato del balletto stellare
anche una stella cadente: inutile dare il merito alla tua voce;
questo
il
solo breve souvenir
della tua manovra di infinito,
linfinita manovra.

nella quinta stanza muori cinque volte
nella sesta, sei.
se ahreman me lo chiedesse darei le mani e il fiato delle mie rozze, per  innamorarmi
almeno una volta, soffrirne 
 un attimo di neve
sopra la   lentezza del seme furtivo
lì,
nellundicesima stanza, fra una morte e laltra:
e allora morire undici volte vorrebbe dire
essere undici volte felici da morire, a eterno termine, cantare ogni voce.
silenzio, voi, grida l'amore! La cosa meno rara
è la felicità.

l'undicesima stanza è la prima. 
e la seconda 
è la seconda. e l'ultima è la terzultima.
ma morire senza avere amato, è restare
sul pianerottolo a guardare i fiori  
appassire nei vasi,

senza poter dire ad alcuno - oggi sono quello che domani io amai.  









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