a noi hanno promesso
pozzi senza lune, scale alle balze del
mattino
fra gli olimpi e i cinabri del
vino.
nella traccia d’affanno
l’incredulità dei maestri ai loro
discepoli. gomitoli d’oro senza minotauri
a guardia
di un
serraglio o una festa dello sguardo
in un altro che lo incroci.
_non sapeva arianna cosa attendere fra i
violini delle dita
né mai si chiese di simularsi un
ruscello nelle veglie_
a noi hanno promesso giri di guardie
primaverili
*
cantando lo scontento del loro ultimo
inverno
fra le azzurre-nere vaghezze del cielo
era rosso il cielo_
e vestiva il nostro lutto in
trasparenza
con il suo numero alato ferito dalle
luci del sud
a misurare in sillabe ed infiniti il
valore
di una lenta custodia_ di un fiore del
pioppo_
per quanto tu possa interrogarci
forse solo l’integrità del grano
rubato alle nubi perché non si chiede
la fame a un uomo;
a un uomo si chiede solo la maiuscola_
vedi? la pioggia inonda i colli della
sapienza
vedi? non c’è alcuno per cui vibri un
battito di ciglia
stanno dormendo da cent’anni
tutti.
ci hanno promesso la giada vibrante nel
luogo del vero
era una coda di lepre, una bocca
d’afide che tendeva un rigagnolo
ribollente
_ lì crescono fiori sulle palizzate
i vostri figli vestiti con gli smeraldi
in una chioma di stelle
ecco la segreta meraviglia
la voragine mai detta, il maglio, il
seme
il granulo nell’occhio di chi non ha
mai veduto.
siedi.
ci hanno promesso,
hanno attestato, posto il sigillo sugli
occhi di dentro…
qui le rane fanno una festa fra i
giunchi
questo è il modo più eterno che abbiamo
da consigliarvi per vivere.
e questa, invece, è una poesia d’amore.
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