domenica 10 maggio 2015

Alchìmia Alchermès
















I
Un epistolario                                       di Melville
Ritrovato in una basilica benedettina.
Svolgevo i miei studi
sulla relazione fra
il tempo meccanico e lo spazio
Lessi di un seguito al suo Moby Dick - perduto -
Le conservo gelosamente, fino ad ora
non ne avevo fatto parola.

Una bozza-
La balena ______catturata, __in fine.
"a me le ossa, a me
il grasso"
Non volli credervi. Bruciai tutti i miei testi raccolti in anni di sete errabonda. L’attesa è solo un attimo prima di essere felici, non
esiste altro motivo
che giustifichi un ristagno sotto i cieli verdi – e le parole sono gli specchi _traversati da Alice, confluiti in questo tropo insulso: il trattenersi,
l’essere nudi contro la didattica delle

fo_r_m_e.

*Non sono uomo ma posso umanizzarmi.
Non sono pazzo ma per cinque minuti al
giorno indosso le vesti di giullare
senza il permesso della contea, studi che mi
comprovino i sonagli.

Né le mie vene hanno il sangue blu degli schiavi
bambini. _________                                                                                             Ma riportami i fulcri della grande luce.





II
Ho avuto molti amanti
Alcuni di loro dai capelli azzurri di Pierrot
Altri tentarono
Di vedere la mia bellezza, li maledissi per sempre, ma nelle notti
                                                                                                                                 senza lume
evoco ogni amore irragionevole,
Attraverso i mari dell’indifferenza,
e mi inabisso
nel mio mietuto igneo che è il cibo dei poeti
E dei trovatori.


III
Osservo la sua danza, mia sorella la notte,
stelle guizzo d’acciughe fra le varie modulazioni della frequenza pensiero
Non sono mai uscito
Dal centro di igiene mentale.
Il piccolo chiostro
Su cui gli infermieri spalancano le finestre
Piene di impronte digitali
Tutte uguali.

IV


Né oggi né per quello che chiami domani,
io benderò la supernova rossa del mio respiro, lo stesso vale per il tuo. Ma lasciate che sia
                           come uno scricciolo fra
Gli arcolai del
rovo, lasciate che dall’alto
del mio albero io canti il mio
poema di gioia.

- Picchiettio di piedi scalzi. Crepitio di fanali -
  E ancora
                  mi duole che _in questo

abito di seta io tanto  cocciutamente sia
                                                                     corsa dietro a cento
                                                                                                       cappelli rubati dal vento,

a tale amore   __daltonico. Fischiante.
Quale ingenua, e dici
vantarmene – l’ insidia incessante __delle
mie __povere __carte.

Quante stelle in una chela 
di granchio!







Nessun commento:

Posta un commento

I COMMENTI SONO IN MODERAZIONE.
SARANNO PUBBLICATI SOLO DOPO MIA LETTURA.
GRAZIE, ELIA