I
Parole agghiacciate
Perle di fiume colano
dai miei occhi lungo la
Tua schiena, ho
percorso
Il fiume fino
A che non era più di
un ruscello, inflessibile terracotta – Sant’Erasmo
Dei telegrafi morti -
A pesca di larve
acquatiche -
Non è chiaro e fresco il
mattino?
Zanzare bruciacchiate
impastate
Con la cera persa
della candela.
Dove c’è l’uomo, dice
il saggio, troverai topi e dio. Ah, Vecchio saggio
Che nascondi nel tuo
cesto?
<<Un serpente un
diamante al centro dell’universo celo, .
Il volto di mia madre
rimasto imprigionato
In uno specchio.
Ma di aprirlo non ____vi
è consenso.
Siedi con me, il vino
non ha il sapore della manna
Ma è fresco e chiaro
come il mattino. Siedi,
so chi sei, giovane
Belzebù!
II
Fossa a ghirba
al vento d’autunno -le
mie gravi lacrime- alpeggi sul graticcio di fieno;
ghermendosi a un
rinforzo ci si perde nel mare.
Che bisogno ha lo
zoppo del bastone?
Mille mani calde sulla
balaustrata
Riscaldano il ferro sino
all’inizio della scala, così che
chi si instrada
non senta freddo alla
mano;
pure si usa,
per
il cardellino e la rana di terra, spruzzare d’acqua tutt’intorno. L’estate
è una
gatta magra a cui hanno
cavato un occhio
i ragazzi per riderci sopra,
per giocarci alle bilie
per farci la piccola
dorata guerra, tutto
ciò che sosta dei
sogni
dei marziali;
vecchie mani sotto i
voltoni di tufo giallo
sgranano il frutto
silenzioso
del melograno
misterioso e fervido e
dolce e pietrificato e mansueto e faticoso
come un rosario
infinito
come togliere le spine
alla rosa recisa –
spolpando
preghiere a denti
stretti, quanti semini
nei piattini per
le offerte!
sono tutti santi di
taverna, sotto la balza nuvolosa, sono tutti, in qualche
modo, poeti. Il loro
resistere ad ogni conflagrazione
del globo terrestre.
III
Vecchie mani sotto
i portoni carezzano i
capelli delle
bambine,
baloccando alla cerca
dei pidocchi. <<Alza il sedere dal mio cesto,
sono stanco, devo
incamminarmi: il vulcano
non esploderà da solo;
ma prima
dimmi: certo sia
questo il tuo
intervallo? Questo l’amore, la fortuna,
il simbolo
dell’ardire?>> Dieci notti
indemoniate, anche la
tazza
d’orzo lieve canta:
Nam Myoho Reng(h)e Kiò
(còchema cupa e puri
cupa còchema – è lo
stesso, sai?)
Sul filo per il bucato
si sono posati sei passeri, il tintinnio di un cucchiaino
dall’altra parte del
mondo li fa volare via, impauriti, all’erta.
E la notte, fra le ___________quattro
pareti
della mia povera testa
di corvo,
in attesa del sonno,
scrivo canzoni, lavori
per golfo mistico, a soli di chitarra, nessuna
musica che io ascolti
è
paragonabile a quella
che scrivo
Cerco al di fuori del
mio udito la carità di un notturno, la baldanza
di una marcetta, il
graffio di due pentatoniche
inzuppate di brandy, giuste alla mia
cassa cardiaca.
Amai il blues, lo
suonai a messa
e nessuno si accorse
ma fui tradito, e mi
spezzarono la schiena
in cento di loro che
furono,
uomini regali senza
rango, spatole di
stabbio per il loro
stesso campo infecondo.
Cuore mio, nero ebano.
Non ne ho mai trovata, ma
avvolto nelle lenzuola
di flanella, sotto l’arco dei cieli senza stelle
che valgano una lenza,
mi incammino per la
via di Brema. E sono come quando
un ragazzino si origina
all’amore:
patisco musica con i
miei genitali,
la coscienza esce
fuori di me, si
riconcilia con la grande mente
senza pareti, fatta di
sole finestre aperte.
Questo l’intervallo, sì,
l’amore, questa la fortuna, il simbolo cremisi dell’ardire.
Dieci notte folli in
cerca della Via Lattea - in tutti i cassetti
di casa - anche la
tazza d’orzo intona:
Nam
Myoho Reng(h)e Kiò -
“i gatti lo sapranno”
-
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