martedì 25 novembre 2014

Daimoku




I

Parole agghiacciate
Perle di fiume colano dai miei occhi lungo la
Tua schiena, ho percorso
Il fiume fino
A che non era più di un ruscello, inflessibile terracotta – Sant’Erasmo
Dei telegrafi morti -
A pesca di larve acquatiche -
Non è chiaro e fresco il
 mattino?

Zanzare bruciacchiate impastate
Con la cera persa della candela.

Dove c’è l’uomo, dice il saggio, troverai topi e dio. Ah, Vecchio saggio
Che nascondi nel tuo cesto?

<<Un serpente un diamante al centro dell’universo celo, .
Il volto di mia madre rimasto imprigionato
In uno specchio.

Ma di aprirlo non ____vi è consenso.
Siedi con me, il vino non ha il sapore della manna
Ma è fresco e chiaro come il mattino. Siedi,
so chi sei, giovane Belzebù!

II

Fossa a ghirba

al vento d’autunno -le mie gravi lacrime- alpeggi sul graticcio di fieno;
ghermendosi a un rinforzo ci si perde nel mare.
Che bisogno ha lo zoppo del bastone?

Mille mani calde sulla balaustrata
Riscaldano il ferro sino all’inizio della scala, così che
chi si instrada
non senta freddo alla mano;
pure si usa,

per il cardellino e la rana di terra, spruzzare d’acqua tutt’intorno. L’estate
è una gatta magra a cui hanno
cavato un occhio
i ragazzi per riderci sopra, per giocarci alle bilie
per farci la piccola dorata guerra, tutto
ciò che sosta dei sogni
dei marziali;

vecchie mani sotto i voltoni di tufo giallo
sgranano il frutto silenzioso
del melograno

misterioso e fervido e dolce e pietrificato e mansueto e faticoso
come un rosario infinito
come togliere le spine alla rosa recisa –
spolpando
preghiere a denti
stretti, quanti semini nei piattini per
le offerte!
sono tutti santi di taverna, sotto la balza nuvolosa, sono tutti, in qualche
modo, poeti. Il loro resistere ad ogni conflagrazione
del globo terrestre.
                                                      
III

Vecchie mani sotto
i portoni carezzano i capelli delle
bambine,
baloccando alla cerca dei pidocchi. <<Alza il sedere dal mio cesto,
sono stanco, devo incamminarmi: il vulcano
non esploderà da solo; ma prima
dimmi: certo sia

questo il tuo intervallo? Questo l’amore, la fortuna,
il simbolo dell’ardire?>>  Dieci notti
indemoniate, anche la tazza
d’orzo lieve canta:
Nam Myoho Reng(h)e Kiò (còchema cupa e puri
cupa còchema – è lo stesso, sai?)
Sul filo per il bucato si sono posati sei passeri, il tintinnio di un cucchiaino
dall’altra parte del mondo li fa volare via, impauriti, all’erta.

E la notte, fra le ___________quattro pareti

della mia povera testa di  corvo,
in attesa del sonno,
scrivo canzoni, lavori per golfo mistico, a soli di chitarra, nessuna
musica che io ascolti è
paragonabile a quella che scrivo

Cerco al di fuori del mio udito la carità di un notturno, la baldanza
di una marcetta, il graffio di due pentatoniche
inzuppate di brandy,  giuste alla mia
cassa cardiaca.

Amai il blues, lo suonai a messa
e nessuno si accorse
ma fui tradito, e mi spezzarono la schiena
in cento di loro che furono,
uomini regali senza

rango, spatole di stabbio per il loro
stesso campo infecondo.

Cuore mio, nero ebano. Non ne ho mai trovata, ma
avvolto nelle lenzuola di flanella, sotto l’arco dei cieli senza stelle
che valgano una lenza,
mi incammino per la via di Brema. E sono come quando
un ragazzino si origina all’amore:
patisco musica con i miei genitali,
la coscienza esce

fuori di me, si riconcilia con la grande mente
senza pareti, fatta di sole finestre aperte.

Questo l’intervallo, sì, l’amore, questa la fortuna, il simbolo cremisi dell’ardire.
Dieci notte folli in cerca della Via Lattea - in tutti i cassetti
di casa - anche la tazza d’orzo intona:
Nam Myoho Reng(h)e Kiò -

                                                     “i gatti lo sapranno” -




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