mercoledì 13 aprile 2016

il gioco della rana (un racconto)









































respirare un cielo di circostanze
non avvenute
o avvenute in nostra assenza:
al grande ladro degli orologi! saluti, saluti e bene.

uno sproloquio sul presidente delle cattedrali
celesti
e poi il buffet
i vassoi di antiche conchiglie
i fossili della sovranità
sono i più prelibati, quella dell'animo
avventurarsi in laghi di classificazioni il sangue non è pietra
no? il mio è diventato una cava di carbone…
siete tutti invitati al matrimonio della fede e dell’ago...
il volto dipinto di nero, come tutti.

la veletta calata sul mondo
intorno
una rana mi è saltata nel cappello dagli occhi
di sant’erasmo: su quel piedistallo
ho allevato tutti i miei figli:
amore, avarizia, nonchalance _ l’ultima mia bimba dai capelli di raso…
scendi di lì gli ho detto, santo sgherro_
cuoci questa rana… prima... sensi e significanti
connotati da variare in preghiere per l’attesa, denotati
di lame sul cuore crudo.


stasera sto con me
e il mio gatto cannella acab-magò.

ho ucciso tutti i vostri padri sacri
la mia stella di meridione rifiutata un cristo momentaneo
è una esperienza oggettiva
del grande muscolo
alieno
un cristo interessato ai miei cavalli
ai miei cingoli e le ruote
nelle mie corde vocali_ dove mi sono uccisa nell'83_ più che ai sugheri che portavo
nelle tasche _ anno corrente della morte del re vipera
di quando eressero pire funerarie per i moli celesti
bruciarono i fantocci
della democrazia_

ho barcollato in cerca d’acqua in una notte terrestre
a fior d’acqua
nella classica luce benedetta
quelle grandi canzoni
quelle spalle di ospite che ebbi coperte da un lieve scialle
lo sciamano mi versò nella mezza intelligenza
il veleno per vincere l’antidoto e mi innamorai del fantasma di un bambino
che mi intrecciò i capelli trascinandomi
come un vesuvio
sei certo che farà così male?
cercando verbi che il bene non potesse scansare
ti odiai come solo odia
chi per la prima volta…

sei più dolce di san francesco che parl;
chiama a raccolta i pentimenti le risa vendute per niente
i colli al chiaro di luna
e garrisci! lei dormiva in mezzo alle chitarre
alle viole ai pensieri di clio che
divaricò le pagine e mise uno scarafaggio rosa nella bocca dell’ultimo giuda disponibile
sul mercato_ mastica bene, succhia le alucce...
una fetta di prevert? è ancora caldo...
io le dormivo a fianco
a 20 leghe di distanza dal suo volto
che non ho mai visto.

*
e passò settembre
e passò agosto_ passarono alla radio una fughetta
per violino una sera
passò  il trafiletto
dell’incoronazione del cinghiale

passarono chine e matite sulla pelle
girarono i satelliti
il loro tango attorno alla terra…
ciò che non passò fu la moda assurda di
morire in quei pantaloni stretti stretti
i capelli rasati, le lunghe ali tenute insieme dalla pece
c’è chi si ribellava, chi non aderì_
li chiamavamo poeti, cantafiabe, gli scultori_ 
baroni rampati e furori_loro_con i loro occhi...
parole che non sarànno mai riconosciute
dalle accademie
caddero in disuso, presto.
e li dimenticammo, di loro resta una scitta con l'inchiostro d'oro della paura...     
_dicono...











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