le ombre cinesi
le mie dita sul muro - la ferita che le tue labbra
hanno fatto alla mia anima -
fisionomia di calice.
hai preso sete d’un fiato. ora bevi,
bianca che sei come una mela
spaccata.
l’anatra – mulinelli di piume di ombra -
e il serpe che non può mordere, sgroppa l’elefante sulle
zampe anteriori,.
e rido come un ragazzo -
questi fiumi, questi fantasmi
screziati.
nella mia poesia - ringhiata su un rotolo di carta di
bottega.
e nel mio cervello, selvatici e nella notte.
oh, vorrei rapirti come si stacca
una rosa dal groviglio del pianto in una culla.
un velo di seta a lacerti. oh
notte
di fiori stracci. i cigni . i cigni. / oche coronate
- code di pavone -dal sereno cosmo del ristagno verdissimo.
dietro i vetri la pioggia, che importa se il sangue è una
pietra, il piscio puzza
di incenso, da tanto che siamo
santi e meschini e stramaledetti.
lasciatemi così,
il bacio di polvere al cinghiale
appena colto nell’eco dal colle-
l’ambrosia gravissima. e i cigni di coole slanciano i colli
di
di murano, il silenzio animale
riversa nell’occhio della pipa la mia scomposizione cavillosa
il distacco di chi troppo a qualcosa è appartenuto.
valeva la pena,
conversare con la luna, carne che sei della mia
anima sorda il vino altero, sprezzante; ma pure la tenebra ha
una sembianza di luce – che sia vero, vero?
un flauto di parole spezzato nel ventre
a forza di soffiarci
le musiche proibite dalla polizia
del pensiero.
e fu presagito il crimine di amarsi, cancellate le linee che
passano
nel palmo delle nostre mani coprendole di inchiostri legali
documenti, contratti d’affitto, incognite di sentieri,
il nostro mistero in bocca ai cerberi
affinchè dimenticassimo di essere umani -
troppo antichi per essere sellati.
il sessantesimo cigno ignorato in
quel distante autunno d’irlanda incurva il tenue collo
all’acqua di un adjàra. e non
sapevamo ancora la fiamma che schizzò dal nostro ardore, oh physis,
o salvezza di inzuppare il pane nel
piatto di magro della pazzia.
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