1
la
malaria, la malavita, _la maldicenza, il malocchio,
foglie, il
male con
la morte
in ceneri,
la peste
chiara e rosa che si rintana nel seno
di chi ha
lo spirito bisognoso,
di colui
che reclama all’amore le blandizie soltanto
l’ho
conosciuta
negli
occhi della gente, accecarsi
fino al
buio più profondo
della
notte.
disinfestarsi
nelle
mani di
chi dice io sono folle folle
e invece è
amore. senza rostri
e cavezza,
amore che rende pur la
miseria
ardita che giunga
come il
clamore
in sordina
di chi si duole
del dolore
di tutti
era ogni
cosa che desideri e che ora
verifica,
in sé, sé stessa. condurti alla ___terra perfetta, l’isola dove
vanno a
finirsi,
a
raffinarsi gli
albatri
affaticati
da quel graspo di bellezza
e di
lustro
che li ha
messi nei versi dei poeti antichi.
il san
pietro di turno, si accosta con il
malloppo
di chiavi sotto il cappello da cow boy,
preso in
prestito a john wayne.
nel suo
numero di giocoliere,
ma è un
trucco di zingara, indovina qual è quella della santa porta
- dice -
quella che
ti salva senza speranza, immersi
nell’azione che
perde ogni via di riparo.
fiorire il
germe di una
idea,
perché.
2
la grande
clessidra. il giocattolo degli
uomini
dinanzi agli occhi delle
sibille è
un diletto da ragazzi
eppure per
un momento lungo tutto il verde fiume, i saggi, gli
orologiai
del negus
la
disinnescano, \c’è un non-attimo\ in cui
il tempo \
smette di \ essere
stillato,
\ valutato,
ammassato
in sacchi per le dighe, all’ultimo palpito dello sguardo.
spegnersi
lungo il verde fiume
tutto l’umano
adoprarsi , uguale alla morte,
questa
sciocchezza di
sabbia e
di vetro, nel ristagno delle
geometrie,
abbastanza da poterla rivelare,
lei, la
vecchia, la signora,
in
poltrone sbiadite davanti al televisore acceso
ai nostri
figli, almeno.
guadagnando
la fatica di far bollire
il sugo
dietro la tendina
dell’angolo
cottura, parlarne con tua fidanzata a cui
non hai
scritto una lettera da anni, sicura, tonda
come il
frutto adamitico,
nel camice
a fiori scollacciato, bella, bella,
dintorno
girando al tavolo verde, sperperare tanto sangue, e lo
straccio
le cade dalle mani come perde
una penna
una colomba.
3
non c’è un pozzo
buono per tutta la terra.
la
stoltezza tormenta l’anima
come un
meschino in foia,
che tutto
sbavo e strizzo gli occhi, che intorno cerco il benestare,
con il
solito vecchio trucco di
spacciare
il ferro spuntato
per un
rivo di rose guerriere, oh clandestina, puttana esultanza.
cerchiamo
allegrezza e svago
si viene
da lontano sempre noi gente poetica,
noi gente
per niente.
oceano io
odio, dice per scherzo il marinaio,
dandogli
del voi al mare,
ho più
cose da dire
che l’uomo più
vecchio della terra –
stive
guardaroba magazzini
caselle
zeppe di venti, arie e di canzoni e bottiglie e conti,
brandelli
di autunno, biglietti, appunti, strategie
per
fregare il padreterno,
averla
vinta una almeno - io sono come il sovrano di un
trono
assai nuvoloso,
quando il
cielo è un teatro di artiglieria.
piovono le
voci delle madri
della
terra in tutte le cattedrali, perdute
mai, di un
pianto buono, di una
tristezza
semplice
che
ombreggia quando tutto fuori arde
e mi
spoglio – e poso il mio scettro
fatto di
inchiostro
nel
piccolo cassetto, penso agli anelli dispersi in tutti i motel che ho
abitato
per poco, lasciando al commiato sempre
due versi
alla cameriera,
alla
portinaia, quelle le cui tracce si dileguano facilmente,
il cui
odore ti si cuce sugli abiti
come un
bottone.
4
infinocchiati
dalla
politica
dalla medicina dalla filosofia dalla fisica,
talmente
bambini da credere che le
corde dell’altalena
non
potranno mai spezzarsi.
amarsi
__eurialo_ e niso___ l’uno poggiato alla schiena
dell’altro in
un vecchio libro
come una
chiesetta di contrada intrisa
di suoni
di armonium.
i gigli
assolati
in vasi
di coccio, spighe di grano tenute al riparo
dalla luce
per risultare verdi al senso
del naso e
della terra.
denari
lasciati in piccoli
panieri
aulenti.
noi meno
attenti al mistico accordo
in cui
bordeggiano
muse,
prefiche, madonne ad ogni angolo di strada e gli altri
i santi
della cricca
bardati come asini, e a noi il carico
delle
ferite, sicché stipulare
il mito
del poeta.
oh luna,
gelida e muta, una sera distendendo tutte le carte io
ti ho
scorta ricoprire di lamine argento il giardino dei talenti e certe sere
d’inverno,
spengo i lumi ai piedi di
tutti i
miei idoli
dissennati,
che so, io sono quell’albatro lieve,
nel
riverbero che guizza
della
brace.
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