venerdì 8 luglio 2016

l'altalena

Processione Sul Mare_Toni Esposito























la preda vuota della notte: superare
un volo dozzinale su una raggiera di edicole, ricavi narcotici.
così il dolore canta amore alla fortuna…
siamo identici noi e voi, la differenza è che non vi somiglio,
la differenza è che ho nel bicchiere una
sfera di lievi scintille di luci, lutto di un’ombra rara.
concedersi la viltà di una finestra
socchiusa…
*
non vi ricorda il gior­no
morti per qualche ricamo di fiori, noi e voi.
tuo è l’abisso che si stende nella polvere comune
mentre attendevamo che si schiudessero
a voialtri rime di fratture come il giorno s’avviava. ma io sono una vergine gentile

la serva giovane che aspetta  
s’avanzi fra le dita la notte… ogni
madre é vergine e conosce ogni cosa.

salivamo alla verde sanità ultraterrena_ in momenti di voglie, noi e voi.
di grembi di scali a ripe sorridenti; il volto solcato di una collera incantevole - una pura
ragione – mi trascina la spina terrena - sacchi dell’infermità del vino,
donna di campi e di carestia…

*
 voi allenate equipe di olimpi, duelli 
di fantasmi fra le righe…
ritorno alla squilla matrigna,
ora che annotta. ci invitiamo sotto i piedi di dio,
un calvario alle grida dei fauni - l’illusione a serbare
il satellite sepolto vivo, io voi e noi
le nubi cariche di pioggia, la bellezza. siamo identici noi, ma oggi peso in piú un grammo di ochidee: 
ho generato dio da una ferita...

adesso lasciate che il deserto 
della mia certezza
sia in quel rapido gesto della cipria, con lo stile 
di una lunga sorgente…
lasciate misera e nuda questa sporta di grano che sono.   
è il giorno che tutti si torna
alla morte ributtanti e felici… quanto possono insistere le arterie, i gelsi, quanto il fiato
di un turbinare di nevi… ma voi e noi costringiamo la luna
brillante a risalire fra i rami in dono
perché si viva per sempre.  mi hai cercato, 
bambino disabitato, la mia pazzia di madre, di figlio che
ogni giorno mi desto con la pena del canto
sulla mia schiena…

*
continuo a spingere e forse non son io: vien da sé,
schiumata nello sguardo, la dolce
alternanza di tonneau e antitesi_ intorno il tempio delle città silenziose: un batrace che saltello sull’erba.











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